La lezione di Miranda

ottobre 24, 2006

Devilwearsprada5egMiranda Priestley firma la rivista di moda più patinata di New York. Non somiglia ad Anne Wintour, la direttora di Vogue americano, ma è lei che vuole rappresentare: una donna che fa il bello e il brutto tempo del business miliardario del mondo dell’alta moda.  Nei comportamenti si ispira a Crudelia Demon, fisicamente allo standard di mezza età delle potentissime tycoon del nostro immaginario. Semina il panico nella redazione, esige l’impossibile, strapazza le sue assistenti e la fa prima che gliela facciano. Ovvero previene ogni sgambetto e si lecca le ferite con il sorriso. Ecco la vera lezione del film "Il diavolo veste Prada", uno spottone iperfirmato, con all’interno una piccola story tipo Cenerentola, oltre 450 abiti di haute couture, un’attrice strepitosa come Meryl Streep, una co-protagonista più bella di Audrey Hepburn (Anna Hathaway), due attori giusti anche nei contrasti (Stanley Tucci e  Simon Baker) , un regista esordiente, quindi fortunato (David Frankel), qualche cammeo-reality (Valentino che fa stesso) e incassi assicurati. Tutto così lucido e talmente glamourous da sembrare un po’ troppo, ma  tant’è si tratta di una fiaba, sia pure un po’ cattiva, almeno apparentemente. Infatti, Miranda-Crudelia non è poi così infame come sembra e i suoi difetti esasperati  non fanno che evidenziare  quelli che sono i suoi pregi. Apparentemente cinica e brutale, Miranda non tiene conto dell vita e della sensibilità di chi lavora con lei e per lei, ma sa riconoscere il talento e se ne serve. Il nome della sua prima assistente (Emily) vale anche per le altre, fino al giorno in cui, a mò’ di riconoscimento, premia la nuova chiamandola con il suo nome(Andrea). Questa, che sia pure rocambolescamente è riuscita  a conquistarla, rinuncia alla fine  a diventarne il clone optando per una vita più "umana".  E Miranda capirà.