Largo ai giovani?

dicembre 24, 2008

Allevi Il teatro risente della mancanza di  grandi mattatori, così come la lirica rimpiange i tempi di Pavarotti o della Callas e non si fa che dire “eh, ai tempi di… allora si che…”  ma se spunta fuori un giovane che riesce a salire sul podio, apriti cielo! I vetusti sopravvissuti alzano la pallida cresta e gridano allo scandalo. Come ha fatto Uto Ughi con Giovanni Allevi, compositore, pianista e filosofo (con tanto di laurea), che ha avuto l’ardire  di  aprire la musica tradizionale a nuove tendenze contemporanee , con il vantaggio di arrivare ad un enorme pubblico giovane che riempie le sue platee in tutto il mondo e di essere diventato una star tutto d’un botto. “Sono consapevole e convinto che la contemporaneità – l’"adesso" – possiede elementi musicali inediti, inimmaginabili fino al secolo scorso, e che ancora non ha mai vissuto nessuno, prima di noi. Spetta quindi ai compositori contemporanei fare in modo che il loro tempo possa essere letto attraverso la propria arte, così come hanno fatto tutti "i grandi" nel passato, nel "proprio tempo" – aveva dichiarato  il nuovo riccioluto, scapigliato musicista, al quale il Maestro piuttosto indispettito e senz’altro poco generoso regala – come abbiamo letto nell’intervista di Sandro Cappelletto su La Stampa – verdetti del tipo : "La sua opera e’ un furbo collage di nessun valore. In passato non sarebbe entrato in conservatorio; Ecco che il passato ritorna. "Quel concerto –  riferendosi al concerto natalizio che il musicista marchigiano ha tenuto al Senato della Repubblica – mi ha offeso come musicista".Ma perchè offeso?  “Lui e’ un nano in confronto a Horowitz e a Rubinstein. Ma anche rispetto a Modugno e a Mina". Che c’entrano questi due? Speriamo che Uto Ughi, presidente dell’associazione “Uto Ughi per i Giovani” che ha fatto di un suo biz una missione: «dobbiamo scendere dal piedistallo dorato, entrare nella testa di chi non ha mai ascoltato nulla», non tratti i suoi “allievi” come tratta Allevi!

TOSCA

marzo 16, 2007


Olga_kotlyarova_tosca_e_alberto_pro

Floria Tosca, la cantante più famosa della Roma papalina fu un’ingenua pedina per far cadere l’autorità governativa? Il dubbio è sollevato dal sagrestano un po’ impiccione, che s’aggira nel quadrilatero della Roma papalina, che tutto sa e tutto osserva, magari facendo spallucce il giorno dopo il suicidio di Tosca, come ogni romano che si rispetti: "…Roma, quella mattina di giugno, era più tranquilla che mai… il Tevere scorreva placido lungo la città eterna e i rintocchi delle campane si rincorrevano sull’Angelus. Da Ponte Milvio alle Mura Angeliche, non c’era un romano che intendesse occuparsi d’altro che delle proprie faccende" ricorda Don Eusebio (il nome del sagrestano è un’attribuzione del fantasioso resoconto "attorno ai fatti" di Giorgio Bosello), cantato e recitato da Diego Bragonzi Bignami nella Tosca di Rossana Siclari, in scena in questi giorni nel delizioso Teatro Flaiano di Roma.

DiegoE’ questo personaggio a legare, con un rapida pennellata (tanto per stare in tema) fatti, passaggi e scorciatoie, rivelando e facendoci "sentire" altro, rispetto al lavoro in prosa di Sardou e al libretto di Illica/Giacosa. Se non bastasse il trovarsi al centro del centro Storico e respirare la fresca aria delle serate romane a farci entrare nella sfera della divina Tosca,  è la sua corsa sui sampietrini prima e quella della carrozza (con il vetturino Filé sul cavallo Panzetto?) che percorre "a tavoletta" il lungotevere, attraversa Ponte Sant’Angelo e raggiunge la fortezza- castello ai primi tocchi della campane che annunciano l’alba in cui un condannato sta per essere giustiziato, a rivelarci il "dietro le quinte" e  con gli stessi occhi  di Tosca e il precipitare degli eventi, il tumulto del cuore e dei sentimenti, la gioia e la paura di quella buia notte romana. Bellissimo spettacolo che in sintesi rivela e si allarga, che cattura e incornicia, che interpreta e traduce, che sulla tradizione rinasce e restituisce: storia, letteratura, musica e canto. E’ l’opera che inizia il cammino della Piccola Lirica, un progetto coraggioso che fa scendere dal piedistallo un genere o troppo amato oppure detestato perché protetto da un’aura di non intelligibilità, di difficile approccio e di impegno organizzativo. A Roma, nel teatro che fu sede del “teatro tascabile” di Ennio Flaiano, ci sono riusciti, allestendo uno spettacolo che ha come location uno dei quadrilateri più maestosi della Roma storica, con una scenografia mobile e concettuale (creata da Paola Caponi, chiamatela “mastro Caponi” poiché ama mescolare manualità e logica, tecnica ed arte) che si articola, si apre e si aggroviglia alle azioni, muta e parlante, piccola e imponente. Per scendere a patti con la tradizione, che nel caso di un made in Italy tanto significativo come la lirica vuol dire anche salvaguardare la qualità del risultato, Carla Fonzi Cruciani ha studiato costumi che assecondano i caratteri, riflettendo però – attraverso i materiali e i colori- il gusto brillante di una nuova generazione. La sintesi e la forte innovazione dell’operazione è espressa dal corpo dell’orchestra che opera una sorta di ricerca di suoni su strumenti midi che se semplificano la “buca”, in realtà ampliano con soli quattro esecutori (Lorenzo Di Toro, Ivan Koska, Stefano Lenci, Maria Silvestrini) il contesto strumentale cercando di raggiungere lo spartito in più parti possibili. Una “ricerca” studiata a lungo e programmata da Elisabetta Del Buono che dirige da “maestro” la sua minuscola ma virtuosissima orchestra.
Non manca neppure la diversità e la curiosità nell’accostamento delle compagnie di canto che si alternano, con diversi costumi rispettosi di ciascuna personalità, sul palcoscenico di quello che da oggi in poi sarà chiamato “Piccolo Lirico”.
Un’occasione, una fortuna, una speranza realizzata, l’ascoltare un Cavaradossi come quello di Alberto Profeta, un tenore generoso, morbido ed elegante, nato per il lirismo dei temi pucciniani così come per il canto spiegato, duttile nel portamento e nel gesto, incorrotto in ogni nota, di grande avvenire. Per Olga Kotlyarova, anche lei al debutto, si è verificato lo stesso magico incontro con il grande compositore toscano che se l’avesse potuta ascoltare l’avrebbe paragonata alla sua prima Tosca, la bravissima Heraclea Darclée, e se l’avesse potuta vedere alla sua Floria preferita, la bellissima Maria Jeritza.
Roberto_lovera_scarpia_okPer descrivere lo Scarpia di Roberto Lovera non basta sottolinearne le “fisique du role” in quanto la stessa interpretazione vocale ne fa un attore, come raramente si incontra nell’opera lirica, denso di sottolineature e di passaggi, crudele e impietoso, ma nello stesso tempo vittima di una passione irrefrenabile e fatale.
Ben piazzati a contrattaccare  nota su nota, l’altro schieramento composto da un Cavaradossi di profonda musicalità:

Rogelio_marin_paola_grandicelli_in_Rogelio Marin , il tenore che vorremmo sempre ascoltare come Mario, dalla chiara dizione e profondo sentimento, doti che derivano dalla certezza delle proprie doti vocali e dallo (raro, sempre stato raro) del significato delle parole. Paola Grandicelli è Tosca, tutta fuoco e viscere, con un canto e una gestualità che asseconda tutti i contrasti del personaggio: la forza come la fragilità, il coraggio come la paura. Il suo “gli piantai una lama nel cor” riassume mirabilmente tutto questo. Voce rara, canto perfetto, intonazione e tempismo da mandare in giuggiole anche una grande formazione musicale e la bacchetta del maestro quella di Costantino Finucci, già così maturo in voce nonostante la giovane età che sicuramente gli procurerà molte opportunità di carriera. Infine, tornando su su a Diego Bragonzi Bignami (un cognome da grande opera davvero) ecco l’artista italiano (che tanto abbiamo desiderato) per ogni parte cantata e recitata, per dare un volto, un carattere, un bonario o mefistofelico punto di forza di qualsiasi operazione che richieda un fine dicitore, sberleffi, musicalità e soprattutto fortissima fisicità. Raggiunge un risultato eccellente in questo senso anche lo Spoletta di Guglielmo Michielin, di eleganza scenica propria e ottima attorialità per quel tanto che occorre ad un personaggio da commedia come Spoletta.

Spoletta_guglielmo_michielin_ok Entrambi loro sono i punti fermi delle due compagnie tra le quali neppure alla fine sapremo veramente dire quale sia la migliore.

L’operazione prende il nome di Piccola Lirica nel 2001, con la prima opera soggetta all’esperimento, la Traviata. Niente a che fare con l’operetta (per la quale viene usato il termine). Per noi: Piccola nel senso che la durata della rappresentazione non doveva superare i 75 minuti , Lirica in quanto si tratta di un’opera del grande repertorio lirico. Preferibilmente italiano.

L’iniziativa, per me che venivo da manifestazioni in cui l’opera si dava tutta intera fino all’ultimo sospiro,  e per quanto avevo udito di meticoloso, pignolesco e a volte di pedante dai critici musicali ospitati nei vari teatri lirici per le rappresentazioni "regolari", si presentava piuttosto spericolata.

Ancor più folle era la parte che riguardava l’esecuzione musicale: strumenti midi campionati e programmati per funzionare come i delicatissimi e sensibilissimi strumenti musicali di una grande orchestra.

Tant’è, con assoluta incoscienza, abbracciai il progetto di Rossana Siclari e mi misi a sforbiciare, seguendo più il mio orecchio e la mia sensibilità piuttosto che la sacralità dello spartito. Trovando che i libretti banalizzavano le storie, scaturite da opere letterarie e teatrali di ben altra portata, cercai le fonti, la matrice del racconto drammaturgico, le atmosfere e le suggestioni dei racconti.

Per Carmen il mio riferimento divenne Mérimée e lo sfogo accorato di Don Josè in carcere, dopo aver compiuto il suo gesto fatale. Per Traviata mi rifeci a Dumas, per Butterfly ai racconti di viaggio degli inizi del secolo scorso nel mondo delle geishe, il Barbiere di Siviglia si muoveva in uno scenario che racchiudeva tutta la Spagna di Picasso e di Mirò e così via mescolando le arti e le carte.

Le opere una ad uno andarono in scena come completi spettacoli lirici da camera, la cui riduzione di qualche cosa di troppo non compromise il risultato di quanto si voleva ottenere: un genere a sé, di nuova concezione e fattura, con la scoperta di voci giovani e bellissime (come quella delle gemelle Milanesi, e di Amarilli Nizza che poco dopo affrontavano il grande palcoscenico lirico internazionale cantando da protagoniste e fino all’ultima nota) e il divertimento del pubblico.

A qualche piccolissima spettatrice del Teatro Flaiano di Roma, mi toccò il compito di spiegare con parole gentili il mestiere di Violetta e di Cio-Cio-San e dopo cinque anni mi chiedo se la nostra Piccola Lirica le abbia invogliate ad ascoltare quella grande e pomposa che si rappresenta nelle arene e nei teatri lirici. Se così fosse, in barba a chi storce il naso (  lo fanno anche con gli shakespeare tascabili rappresentati magnificamente a Londra), sarebbe la mia più grande soddisfazione. 

Tool_piccola_liricaA Marzo, nella cornice della Roma papalina, tra inviti a Palazzo (Farnese) e scampanii di campane(quelle delle molte chiese romane), arriva Tosca, la più passionale delle donne raccontate da Giacomo Puccini. Per chi ne vuole sapere di più, oltre a questo mio piccolo appunto personale, www.piccolalirica.com e per chi vuole ancora convincersi o chiacchierare http://www.piccolalirica.ilcannocchiale.it